“Aspittari e nun viniri, jiri a tavula e nun manciari, jiri a lettu e nun durmiri su` tri peni di muriri”.
Traduzione:
“Aspettare qualcuno che non viene, andare a tavola e non mangiare, andare a letto e non dormire sono tre pene da morire”.Proverbio siciliano
Il pranzo della Domenica nelle cucine siciliane non è un semplice pasto, è una maratona.
Tutto ha inizio alle prime luci dell’alba, quando la donna siciliana trasforma la sua cucina, mentre tutti i componenti della famiglia dormono, in un trionfo di odori e sapori, cominciando a preparare il ragù con cui condire gli anelletti da fare al forno.
Il giusto compimento degli sforzi della cuoca siciliana, poi, si racchiude nella tipica frase con cui i commensali accolgono il cibo presentato sulla tavola: “E cchi è Natale?”.
Tale commento, che rimanda evidentemente alle feste natalizie durante le quali la tavola viene tradizionalmente imbandita di ogni bendidio, lascia trasparire tutto lo stupore e al contempo tutte le aspettative riposte ed effettivamente avverate su quel banchetto. Guai se non fosse Natale ogni santa domenica!
Arabi e Francesi, Anelletti e “farcie de maigre”
Gli anelletti alla palermitana rappresentano un classico del pranzo domenicale. Di origine araba, dovrebbe costituire un piatto unico, per l’elaboratezza della preparazione e l’infinito numero di ingredienti presenti: dalla carne, all’uovo, dalla pasta al sugo, per finire con i piselli e le melanzane.
Tuttavia, nelle cucine siciliane, un piatto unico non rimarrà mai unico. Ad esso seguiranno sempre un secondo ancora più elaborato, possibilmente accompagnato da un contorno ed un dolce da 2000 chilocalorie.
Il secondo per eccellenza dei pranzi domenicali è il falso magro al sugo che la maggior parte dei siciliani conoscerà con l’inconfondibile nome di “bruciuluni”.
Di origini palermitane ma diffuso in tutta l’isola, “u bruciuluni” subisce delle variazioni da un luogo all’altro della Sicilia per quel che riguarda il condimento.
Si dice che sia stato inventato da uno dei “monsù”, tipici cuochi francesi che affollavano le cucine delle famiglie aristocratiche siciliane del Settecento, i quali per stupire gli ospiti davano sfogo alla loro creatività, inventando nuove ricette.
Il cuoco che lo creò per primo lo definì “farcie de maigre”. Ma i Siciliani, si sa, non vanno d’accordo con le lingue e hanno storpiato il nome della creazione francese fino a farla diventare “farsu magru”. Infine, per evitare ogni incomprensione, sulla base della forma della pietanza, simile ad una braciola, il francesissimo “farcie de maigre” diventò “u bruciuluni”.
E’ in sostanza un arrotolato di carne di vitello, falsamente magra, ma anzi, super condita, che al suo interno svela un insieme di uova sode, salumi vari, pinoli e irrorato di sugo. C’è chi dice che proprio la presenza della salsa di pomodoro fa del falso magro una ricetta nata dopo l’Ottocento, cioè dopo l’importazione del pomodoro in Sicilia.
Ad ogni modo, le antichissime origini del falso magro, di certo, restano indiscusse.
Chi ciavuru (odore) sta Parmigiana
Un secondo di carne merita un illustre contorno di verdure. La “parmigiana di melanzane” è la candidata ideale.
Anch’essa di origine settecentesca, la parmigiana di melanzane deve il suo nome alla sua forma simile alla “parmiciana” l’insieme dei listelli di legno che formano le persiane.
Si tratta in sostanza di un timballo di melanzane che tra uno strato e l’altro nasconde il caciocavallo filante e il sugo all’odore di aglio e basilico.
A questo punto della mattinata, l’odore del fritto delle melanzane ha invaso ormai l’intera casa ed esce anche dalle finestre spalancate, invadendo le strade assolate, ma è proprio quello che fa “domenica”.
In alcuni casi può coincidere con il risveglio di un ipotetico figlio della cuoca siciliana, che si troverà a fare colazione accanto a delle melanzane appena fritte. Ma questo è il prezzo da pagare per il banchetto che di lì a poco avrà la fortuna di assaporare.
Signore e signori, sua maestà u cannulu
E’ quasi mezzogiorno, e il buon padre di famiglia a quest’ora dovrebbe già essere uscito da casa per recarsi nella pasticceria del centro, fare la fila e farsi preparare un bel vassoio di dolci, tra i quali campeggia “lui”: il “cannolo siciliano”, il re delle pasticcerie dell’isola, l’indiscutibile, l’inimitabile cialda croccante ricoperta da una spolverata di zucchero a velo e ripiena di ricotta con alle estremità due scorzette di arancia candita e scaglie di pistacchio e cioccolato.
Bambini forza dducu, a tavola!
Si comincino le danze, il pranzo è servito
Ebbene, il pranzo può avere inizio. La cuoca siciliana può togliere il “fallaro” (grembiule), lasciare i fornelli e cominciare ad imbandire la tavola. I familiari possono prendere posto, gli anelletti caldi e fumanti possono essere serviti nei piatti, u bruciuluni non aspetta altro che essere ricoperto dal sugo bollente ed essere affettato. Gli odori inebriano la sala da pranzo, la parmigiana di melanzane, di solito, non arriva a fine pasto.
E’ l’ora di aprire il vassoio di dolci. Il cannolo di ricotta spicca in tutta la sua maestosità.
Un vassoio di dolci della domenica non può prescindere dal cannolo. In famiglia c’è sempre qualcuno che esclama:
“Ppi mia un iè duminica si un mi mangiu un cannulu sanu cca ricotta”.
“Per me non è domenica se non mi mangio un intero cannolo con la ricotta”.
La maratona è quasi conclusa. Il caffè fuma nelle tazzine e presto i commensali si ritireranno per schiacciare un pisolino.
E’ pomeriggio inoltrato e la cuoca siciliana, di solito, rimane sola in cucina, ma sa esattamente cosa fare: rimettere a posto e preparare mentalmente la lista della spesa per i pranzi e le cene successive, persino quello della prossima domenica.