Ci troviamo a Sciacca, comune agrigentino molto rinomato per il suo Carnevale ricco di carri allegorici che ogni anno sfilano conquistando le folle; per le sue acque termali, giudicate tra le più efficaci d’Europa; per il suo Corallo dal colore rosso arancio che lo rende unico ma… meno conosciuto per un luogo misterioso che suscita fascino ed ammirazione. Parliamo del Giardino Incantato o Castello Incantato, opera dell’artista Filippo Bentivegna.
Trattasi di un “museo” a cielo aperto, un giardino di teste scolpite dappertutto, sulle rocce, sui tronchi degli alberi, sui rami. Ma da dove proviene tutto ciò? Perché tutte queste teste? Andiamo a captarne la ragione ripercorrendo la vita del suo autore.
Filippo Bentivegna detto “Filippu di li testi”
Filippo Bentivegna, nominato appunto “Filippu di li testi”, nasce a Sciacca nel 1888 da una famiglia di umili pescatori. Crescendo nell’analfabetismo ed in scarse condizioni economiche, all’età di circa vent’anni emigra in America in cerca di fortuna come molti siciliani erano costretti a fare. Qui trova lavoro ma non riuscendo ad integrarsi pienamente in una società troppo diversa dalla sua, rimane un “emarginato”.
Nel Nuovo Continente subisce un grave trauma. A seguito di una rissa, probabilmente amorosa, viene colpito alla testa e questo gli provoca seri problemi cerebrali. Nel 1919, dopo essere stato dichiarato incapace di lavorare ed improduttivo, viene rimpatriato in Italia.
Tornato nella sua Sciacca, Filippo decide di acquistare un appezzamento di terra, proprio ai piedi del monte Kronio (oggi conosciuto come monte di S. Calogero), di fronte al canale di Sicilia, dove sorge pure la sua casa. Qui ha inizio la sua vocazione artistica. Filippo, che non si è mai interessato all’arte, tira fuori un talento intrinseco. Nasce così il Giardino Incantato.
Forse, a causa del dolore di una vita non troppo fortunata, forse, in seguito alla disavventura americana o semplicemente perché scopre questa dote innata, comincia a scolpire tutto ciò che è all’interno del suo podere: rocce, pietre ed alberi. L’ossessione per il suo lavoro è talmente forte e viva che estrae la pietra da scolpire direttamente da caverne da lui stesso scavate.
Questa diventa la sua unica ragione di vita, le sue teste diventano la sua unica ricchezza, la corte di cui soltanto lui è il Sovrano. Per tutto questo veniva deriso dai suoi concittadini che lo appellarono “Filippo il pazzo” ma lui, si faceva chiamare “Eccellenza”.
L’ossessione per le teste umane
Unico soggetto delle sue opere sono le teste umane, di ogni forma e dimensione ma soprattutto in ogni loro espressione. Il Giardino Incantato è un luogo ricco di volti che osservano il visitatore, volti tristi, allegri, malinconici, con sguardi persi nel vuoto, volti che vogliono raccontare i pensieri più nascosti del loro creatore. Teste ammassate, bifronti, riunite in grappoli, vialetti di teste, muri di teste che si riferiscono a personaggi locali, storici ma anche a personaggi a noi ignoti.
Oltre il Giardino Incantato, anche la casa in cui vive risulta essere un piccolo capolavoro artistico. Infatti, non potendola scolpire egli ne dipinse le pareti. File di grattacieli ne decorano le mura, ricordando la vita trascorsa in America.
Gli ultimi anni e l’Art Brut
Dopo aver dedicato la sua vita, in solitudine, al suo lavoro, Filippo Bentivegna muore nel 1967 lasciandoci un capolavoro non subito apprezzato localmente, ma che oltrepassò i confini non solo locali ma anche nazionali.
Sentendo parlare dell’artista “pazzo di Sciacca” e curioso di vedere quell’opera bizzarra, un anno dopo la morte dell’artista siciliano, arriva a Sciacca un assistente di Jean Dubuffet (pittore francese, fondatore del concetto di Art Brut, cioè arte spontanea, arte “grezza” a cui appartengono artisti che nel realizzare le loro opere non seguono alcuna regola o convenzione).
Dopo aver visto la bizzarra opera, ne resta talmente entusiasta da convincere i parenti di Filippo Bentivegna a farsi donare alcune teste di pietra da portare al suo maestro. Jean Dubuffet le apprezza e le inserisce nella sua collezione.
Quelle teste sono oggi esposte al Museo di Art Brut di Losanna, istituito in memoria del suo fondatore Jean Dubuffet secondo il quale l’arte grezza deve “naître du matériau […] se nourrir des inscriptions, des tracés instinctifs” (nascere dal materiale […] nutrirsi delle iscrizioni, delle disposizioni istintive).
Se una persona come Filippo Bentivegna era definito pazzo allora ben vengono tutti i pazzi di questo genere